Se uno alleva i propri animali per passione, di fronte alla strage di pecore avvenuta nella notte tra sabato e domenica in un recinto elettrificato accanto a una stalla sopra Faido, i sentimenti che prova non possono che essere due.
Un grande senso di scoraggiamento e di frustazione, ma anche di impotenza di fronte a un fenomeno incontrollabile che ti fa dire: – Basta, il mio ideale di allevatore di montagna è finito. In una notte si è spezzato tutto. Vendo tutto e cambio vita. –
Ma ci può essere anche la reazione di rabbia, di violenza verso il lupo, ma anche verso coloro che continuano a sostenere, senza essere allevatori, che la convivenza tra lupo e allevamento è possibile.
Se poi, dopo un fatto del genere, l’allevatore sparasse al lupo, c’è da chiedersi con che autorità, chi finora ha fatto poco o nulla per contenere il fenomeno, dare l’ordine di arrestare il malcapitato.
Con un approccio più razionale, occorre ammettere che fatti del genere ne sono già capitati in Ticino (a Cerentino, nel 2013 con 14 capi predati anche se allora le pecore non erano in un recinto, a Magadino, nello stesso anno, 7 capi predati) in Francia, in Italia, ovunque ci siano lupi.
E ne capiteranno ancora. Come questo e anche peggiore di questo.
Perciò l’aspetto più inaccettabile, più drammatico, è che le autorità, federali e cantonali, ben coscienti che vi è a rischio l’esistenza dell’allevamento tradizionale di montagna, poichè l’espansione del lupo è sempre più forte (lo si ammette in tutti i rapporti), non fanno nulla per togliere la protezione assoluta per il lupo (famosa Convenzione di Berna) e a intraprendere azioni incisive per contenerne l’espansione. Si limitano a esprimere sostegno e comprensione per gli allevatori colpiti, a proporre palliativi inutili, a spendere denaro pubblico per degli studi inconcludenti.
Il Gran Consiglio ticinese nel 2010 aveva deciso che “oltre al risarcimento dei capi predati, vanno risarciti i costi derivanti dalla ricerca e dal recupero dei resti delle carcasse, nonchè la perdita di prodotto conseguente”. Sono trascorsi 6 anni e il Consiglio di Stato non ha ancora emanato il relativo regolamento per cui di risarcimenti, nemmeno l’ombra.
Il 26.04.2014 il Consiglio di Stato aveva dato mandato ad Agridea di fare un Analisi strutturale per la messa in opera di misure di protezione delle greggi in Ticino con termine di consegna per l’aprile 2015. Sono trascorsi quasi due anni e il rapporto non è ancora stato consegnato.
Il Vallese è l’unico cantone che ha osato agire: nel novembre 2014 ha inoltrato un’iniziativa cantonale per chiedere al Consiglio federale di “denunciare la Convenzione di Berna e negoziare una nuova adesione introducendo però una riserva che escluda la protezione del lupo, analoga a quella ottenuta da 12 dei 27 Stati contraenti”; iniziativa che è stata avversata dal Consiglio federale, è stata rigettata dal Consiglio degli Stati nel 2015 ed è stata accolta dal Consiglio nazionale nel novembre 2016. Fra qualche mese ritornerà agli Stati, ma anche se fosse accettata, trascorreranno ancora anni prima che ci sia una decisione definitiva. E intanto i lupi aumentano, le predazioni pure e l’allevamento muore.
E il Vallese è pure l’unico cantone che nei fatti cerca di contenerne l’espansione (dal 1998 a oggi sono stati uccisi legalmente 8 lupi).
Certamente la solidarietà e la compartecipazione all’amico Daniele, da parte nostra non manca.
Ma se le autorità non si danno una mossa per cercare di contenere il fenomeno, sarà la fine del nostro allevamento di bestiame minuto.
Armando Donati, presidente Associazione ticinese per un territorio senza grandi predatori