Il signor Donati nell’articolo “quando le autorità si interessano di lupi” è stato un cattivo profeta; proprio di oggi la notizia della predazione da parte di un lupo di diverse pecore e/o capre in val Malvaglia, un territorio non toccato in precedenza dalla presenza di questo feroce animale.
Il titolo dell’articolo non è solo un grido di speranza siccome sembrerebbe che la politica e le istituzioni abbiano effettivamente smesso di nascondersi dietro ad un dito per cercare di accontentare tutti, delegando e rinunciando ad assumersi delle responsabilità per effettuare dei progetti in merito.
Questa nuova via si rispecchia in recenti atti parlamentari e mozioni accettate da entrambe le camere che mirano a modificare lo statuto di protezione dei grandi predatori, nell’unità di opinioni e intenti delle principali associazioni Svizzere di categoria coinvolte e nell’intenzione di unire le forze in un’associazione nazionale unica avente delle sezioni cantonali.
La volontà politica delle Camere Federali non incentiva una diffusione dei predatori in Svizzera, quindi essa deve venir messa in pratica velocemente ossequiando i vincolanti mandati parlamentari. Purtroppo però i nuovi concetti di gestione proposti a scadenze regolari sono sempre uguali, creano sforzi di tempo e finanziari elevatissimi e trattano la problematica unilateralmente tralasciando completamente il punto di vista degli animali da reddito. Essi sono paradigmatici e vengono vissuti dai diretti interessati come un’imposizione inaccettabile da parte di persone e movimenti che, non vivendo la realtà direttamente in loco, vogliono imporre dalle loro comode scrivanie un’ideologia ambientalista tipicamente urbana e completamente inadeguata a capire e affrontare la realtà locale giornaliera, distorcendo e strumentalizzando concetti come natura, biodiversità e cultura del territorio.
Il ritorno dei grandi predatori desta grande preoccupazione agli allevatori, mentre per una nutrita cerchia di funzionari, ambientalisti e protezionisti a oltranza, l’evento è motivo di spensierato valore naturalistico, dove responsabilità civile e buon senso sembrano ormai andati perduti. Capre, pecore, mucche e pastori sono lo specchio della civiltà pastorale che sopravvive e testimonia lo stretto legame anche affettivo con il territorio e la tradizione, ed è paradossalmente una delle attività agricole più rispettose della biodiversità e dove vengono prodotti ecosistemi di valore.
Non è accettabile che un lupo valga più di 25 pecore, che, oltretutto danno anche un valore aggiunto. Non è giusto ridicolizzare chi ha paura per il suo futuro, puntandogli il dito contro e accusandolo erroneamente di essere inerte e non attuare misure di protezione, che poi nella maggior parte dei casi si sono rivelate improponibili, inefficaci e nel contempo diffondere la favola di una possibile convivenza all’interno degli stessi spazi tra animali al pascolo e grandi predatori.
Per contrastare questa miope visione, diverse forze politiche e istituzionali si stanno unendo per creare l’associazione territorio senza grandi predatori (ATsenzaGP). La gestione a livello Svizzero sarà assunta dal Gruppo Svizzero per le Regioni di Montagna (SAB), mentre in parallelo si stanno formando diverse sezioni cantonali (Grigioni, Vallese, Friborgo, S. Gallo, Berna, Svitto, Zurigo). In Ticino diverse associazioni (ALPA, FTCI, Montagna viva, STEA, ADP, Federazione Ticinese Consorzi allevamento Caprino e Ovino, enti regionali di sviluppo, UCT, …) che rappresentano o sono vicine al settore primario, quello (più) colpito dal ritorno dei grandi predatori, stanno unendo le loro forze per essere più efficaci nell’azione e per cercare di arginare una situazione difficilissima. La grossa preoccupazione è che la situazione degeneri e diventi come quella degli ungulati, dove nel momento in cui ci si è chinati effettivamente sul problema i buoi erano ormai fuori dalla stalla. Non mettiamo a repentaglio una cultura secolare e la sopravvivenza della pastorizia tradizionale.

Sem Genini, segretario agricolo UCT