Ci sono nella vita di ogni gruppo umano avvenimenti e quindi date che segnano più di altri, nel bene e nel male, la propria storia.
Chi vive l’avvenimento in prima persona a volte non si rende conto dell’importanza del fatto ed è soltanto a posteriori che si riesce a evidenziarne la portata.
Per il tema dei grandi predatori e la lotta intrapresa per la sopravvivenza dell’allevamento di montagna cito tre date:
– 4 dicembre 2013: foto di un branco di lupi che camminano in fila indiana in mezzo alla neve, apparsa su un giornale;
– 1 settembre 2015: notizia che in Val Morobbia è stata fotografata una cucciolata;
– 9 marzo 2016: decisione del Consiglio degli Stati di non accogliere la mozione Imoberdorf (presentata dal suo successore Rieder) che intendeva rendere cacciabile il lupo.
Tutti avvenimenti negativi. Tutti con conseguenze difficilmente quantificabili, ma sicuramente disastrose per il futuro dell’allevamento di montagna.
Se per i primi due si trattava di un fatto naturale che si è ripetuto più volte negli ultimi decenni su tutto l’arco alpino e si ripeterà ancora più volte in futuro, la decisione di oggi è stata presa, con scienza e coscienza, dai nostri rappresentanti a Berna. Soltanto fra alcuni anni si potrà capire se sia stata una decisione saggia, ossia che tende verso il bene comune, oppure no.
Se fosse stata accolta, altri (consiglio nazionale, eventualmente il popolo) avrebbero potuto ancora approfondire, valutare, decidere….in un modo o nell’altro.
Votando no, si è stroncato ogni possibilità di ulteriori riflessioni.
Che mazzata, signori.
L’unica magra consolazione è che i rappresentanti del Ticino hanno votato a favore, capendo perfettamente il problema, anche aiutati dai recenti fatti e dalle molte predazioni che si stanno verificando nel nostro cantone con sempre maggior frequenza.
È vero che la mozione sarebbe entrata in conflitto con la convenzione di Berna, che eleva il lupo a specie strettamente protetta. Tuttavia io speravo che sarebbe stata l’occasione da parte della maggioranza del Consiglio degli stati per ammettere che una protezione assoluta è oggettivamente superata e di conseguenza si avrebbe avuto il coraggio di rimettere in discussione tale principio. Tra l’anno in cui è stata firmata (1979) e oggi la situazione è totalmente cambiata. È assennato non voler cambiare?
Solitamente un bene lo si protegge se è raro oppure se ha un valore superiore ad altri.
Oggettivamente il lupo non è più raro, poiché è in forte espansione su tutto l’arco alpino, Svizzera compresa. E su questi dati non ci piove. E riguardo al valore superiore, occorre amaramente prendere atto che per il Consiglio federale e per la maggioranza dei deputati l’allevamento tradizionale è meno importante del lupo. L’allevamento non è da proteggere, anzi, per loro può anche sparire!
Salvo poi scrivere ad ogni occasione che l’autorità comprende l’importanza del settore primario nelle regioni di montagna, apprezza il lavoro che i contadini svolgono per la cura del paesaggio e per l’offerta di prodotti di alta qualità e lo sostiene con i pagamenti diretti e con aiuti infrastrutturali.
Oppure scrivere di impostare la Strategia lupo “in modo che l’allevamento convenzionale e tradizionale nelle regioni di montagna continui ad essere possibile senza restrizioni inaccettabili”.
Le misure di protezione proposte (recinzioni ovunque; cani da protezione per tutti) che molto spesso non sono applicabili, sono restrizioni accettabili?
Con la decisione di giovedì scorso e con i contenuti della Strategia lupo in vigore si fa esattamente il contrario. La coerenza non dovrebbe essere una virtù di chi ci governa?
È innegabile che il conflitto tra allevatori da una parte, nonché ambientalisti e autorità dall’altra, si sta acuendo.
A vantaggio di chi? Del lupo? Del settore primario? Della convivenza civile?
Armando Donati, presidente ATsenzaGP, sezione Ticino